Stratificazioni

Il concetto di stratificazione, ad una prima riflessione, rimanda al processo di sedimentazione materica che implica una dimensione temporale, strati che si depositano gli uni sugli altri, alcune volte integrandosi fra loro, altre costituendo solo una giustapposizione. A questa accezione del termine, si aggiunge una declinazione più concettuale, il riferimento può essere alle stratificazioni dei ricordi, frutto dei processi della mente umana, in riferimento a visioni o fatti accaduti. In questo caso la mente può essere considerata come luogo interiore dove si depositano e contaminano pensieri che delimitano paesaggi della nostra immaginazione.

Le opere di Marco Brenna, definite appunto attraverso questo concetto, appaiono come stratificazioni materiche che implicano l’utilizzo di materiali eterogenei, spesso pregni di memoria e legati al ricordo di esperienze personali passate, ma ancora vive nel ricordo. Sulla superficie pittorica, campo privilegiato da Brenna, tali materiali si mescolano, dissolvendosi gli uni negli altri, in altre zone invece, rimangono separati svelandone la loro natura. Ecco allora che parti più nitide e leggibili si alternano a zone dove la sovrapposizione degli elementi è molto densa.

Questi materiali sono trattati con interventi pittorici e concorrono a definire determinati soggetti: volti umani e paesaggi. Essi non sono indagati come generi o temi tradizionalmente intesi, nessuna intenzione meramente descrittiva, ma risulta chiaramente evidente il punto di osservazione dell’artista, uno sguardo che indaga oltre la propria vista. L’oggetto in questione dunque può essere considerato come il punto di partenza per esprimere una condizione che va oltre l’apparenza.

Osservando tali lavori si nota subito un doppio registro. L’artista è intervenuto in due sensi: una semplificazione legata al ricordo dei soggetti e il successivo racconto tattile che si concretizza su tela. Idealizzazione e materialità convivono generando una visione che evoca il ricordo e la sensazione tattile. Questo doppio registro lo si scorge anche quando rispetto ad un approccio più superficiale ci si accosta in modo profondo alle sue opere. A prima vista ciò che colpisce l’occhio dello spettatore è la materia utilizzata, la medesima per entrambi i soggetti, e disposta secondo un determinato ordine: tela bianca, juta,

carta (sulla quale realizza i disegni), frammenti di tessuto e per ultimi fili di juta. I materiali sono trattati attraverso un intervento che riesce a coniugare il tutto eliminandone le differenze strutturali; ne emerge una sostanza che sembra cogliere l’essenza di ciò che ha osservato l’artista.

Brenna prende in causa e intreccia il visibile all’invisibile, mostrandoci la trama di queste visioni. Grazie alla particolare tecnica utilizzata verrebbe da chiedersi se i suoi paesaggi o volti sono reali o immaginari. Ciò che prende vita sulla superficie pittorica è un’opposizione simile ai concetti di soggettivazione e oggettivazione: le sue opere, infatti, sono rielaborazioni mentali dei soggetti, processo che avviene inconsapevolmente nella mente umana e grazie al quale si giunge ad una visione pura.

Brenna si concentra sul manifestare ed evocare una sensazione, ricordo di volti o paesaggi comaschi, legati in particolare all’acqua. In riferimento a questi ultimi, a farla da padrone, sono infatti visioni dove acqua e terra si integrano e sembrano scaturire dalla stessa sostanza che riverbera in ogni parte dell’opera.

La matericità, presente in ogni tela, porta a leggere il paesaggio ed il volto come esternazione di qualcosa che ha una sua profondità, in questo senso, entrambi manifestano il loro essere attraverso un movimento, essenza del mondo e dell’uomo. Ogni paesaggio può essere inteso come un’entità che viene colta e resa introspettiva, in relazione ad ogni individuo. È da qui che possiamo partire per comprendere l’accostamento di paesaggi e volti. Non a caso Marco Brenna, mostrandomi le sue opere, mi spiega ciò che attualmente lo interessa: i fenomeni acquatici, in perenne divenire, con i loro movimenti e le loro trasparenze, una materia fluida che nonostante la sua natura mobile conserva un’essenza. Come riuscire a rendere ciò? L’artista ha scelto materiali che presentano tracce di vissuto e dalle stratificazioni con essi emerge quella natura instabile. È questo movimento che scaturisce dalle sue acque e che invade i territori circostanti irradiando ciò che gli è vicino.

Sia i volti che i paesaggi sono fatti della stessa materia, Brenna è riuscito a fondere insieme la percezione con l’introspezione. La sua arte ricorda la fluidità ed il divenire degli eventi naturali, il tutto filtrato dalla memoria. Potremmo parlare dell’epidermide delle cose, di come un elemento di confine sia in contatto con l’esterno e l’interno, punto visibile di congiunzione che trae da questa natura la sua ragion d’essere.

Da questi presupposti scaturisce il particolare allestimento: i due soggetti sono giustapposti alla parete in modo da far emergere scarti ma anche similitudini, rafforzandosi a vicenda e generando echi.

Brenna utilizza una tela anche se osservando le sue superfici, ad una prima occhiata, si ha l’impressione di trovarsi di fronte a “tavoli da lavoro” pregni di materiali della vita dove elementi non intenzionali riempiono la visione. Scorgiamo allora macchie di colore, cadute quasi accidentalmente, che si depositano e integrano nella trama dei lavori. Ecco, dunque, che il riferimento è ai processi operativi che portano alla realizzazione dell’opera. E dunque, i lavori, pur essendo disposti a parete, non si rivolgono solo all’occhio dello spettatore, non si indirizzano solamente al senso della vista, ma richiamano ad una dimensione tattile. Essi, di conseguenza, non portano a compimento un’attività sublimatoria che separa il soggetto percipiente dal suo corpo, come invece accade per molta arte visiva. Non a caso Brenna mi parla dei lavori di Robert Rauschenberg, le cui superfici di lavoro sembrano rappresentare la mente stessa, piena di riferimenti concreti associati liberamente come in un monologo interiore; la mente rielabora i dati del mondo esterno in movimento per poi sistemarli in un campo sovraccarico.

Ecco allora che i lavori di Brenna sono un invito all’osservazione ravvicinata per arrivare alla graduale presa di coscienza di come ogni singola parte sia frutto di stratificazioni materiali ed emotive. Attraverso un lento riconoscimento, cha parte dallo strato superficiale, immaginiamo l’artista addentrarsi e muoversi lungo lo spazio pittorico, così come quando noi stessi ci muoviamo in un paesaggio; in quel momento facciamo esperienza di esso ma nello stesso tempo acquistiamo una coscienza corporea che ci invita a riflettere sulla nostra posizione nel mondo e sulla trama di relazioni che ci lega al tutto. Le tele di Brenna sembrano ricostruire l’esperienza stessa dell’artista indirizzata alla presa di coscienza individuale. Il suo è uno sguardo profondo orientato verso l’essenza delle cose, come essenziali e incisi sono i tratti che definiscono i soggetti delle tele. All’individuo non è concesso avere uno sguardo onnisciente, poiché si trova all’interno di determinati contesti e di essi porta e ne subisce l’influsso. Solamente l’artista, attraverso le sue opere, riesce ad avvicinarsi ad una visione che è al contempo universale ed individuale. I lavori di Brenna, in questo senso, sono una rivelazione intima del suo sentire, un vedere in trasparenza che si svela agli occhi dell’osservatore.

Francesca Lucioni