Idrovolanti

Sembravano passare di lì per caso, sotto un cielo bianco e grigio, carico di assenza. Senza un motivo particolare. Non capivi bene il perché, eppure erano lì, evidenti, pronti ad accendere i ricordi e la fantasia. In qualche modo erano loro ad attirare l’attenzione dello spettatore.

In primo piano c’era il Monumento ai Caduti, in una prospettiva ravvicinatissima. Visto come se una persona si fosse messa a guardarlo a pochi passi, con la testa rivolta verso l’alto, tra le nuvole. Ed è proprio lì, sopra al Monumento, in quello scorcio di cielo che rimaneva prima del bordo, che li ho visti comparire per la prima volta su una tela di Marco Brenna.

Aeroplani? Non esattamente. Idrovolanti.

S’impennavano verso il cielo, in un angolo limitato della composizione, e per un motivo o per un altro erano loro a catturare lo sguardo. Era autunno, ricordo, l’autunno di un anno fa.

Non erano stati disegnati con cura, dovizia di particolari, roba del genere. Solo poche pennellate nere, senza contorni. Due ombre scure. Eppure quei profili di velivolo, con i loro caratteristici galleggianti, che da bambino mi facevano pensare a dei piccoli aerei con gli sci, mi sono risultati immediatamente familiari.

Inaspettati, su quella tela, davano un’aria completamente nuova a tutto il quadro, un tocco particolare. Qualcosa che aveva a che fare con la fantasia, l’infanzia, forse. La purezza di un sogno. Un dito di bimbo puntato verso il cielo. In qualche modo, quel particolare rendeva quella tela diversa da tutte le altre che componevano quella mostra (mi riferisco alla splendida personale tenutasi lo scorso ottobre presso Rattiflora, allestita tra vasi, fiori e arredi da giardino, dal titolo “Como, città Razionalista e Metafisica”).

Oggi, a distanza di un anno, in questa nuova personale, nel misterioso evolversi del processo creativo, ecco che gli idrovolanti si sono presi il centro della scena. Non più accenno, dettaglio, tocco caratterizzante, ma oggetto vero e proprio dell’interesse artistico. E trovo incredibile la varietà di suggestioni che di quadro in quadro il Brenna è riuscito a suscitare da questo soggetto. In alcuni, specie quelli più grandi, gli idrovolanti sono presentati con forza monumentale, disegnati con la stessa dignità metafisica con la quale egli stesso ha interpretato, in precedenti lavori, architetture e monumenti comaschi: il Palazzo del Fascio, il Monumento ai Caduti, la Fontana di Piazza Camerlata… In altri li vediamo sorvolare a bassa quota i palazzi della nostra città, ricordandoci quanto queste figure ci appartengano, così come il rumore del motore con il quale si preannunciano e che avvertiamo ogniqualvolta ci passano sopra la testa. In altri ancora sembrano quasi dei modellini, dei giocattoli, circondati da un azzurro pastello che ci riporta immediatamente a un mondo d’infanzia, dove volare è ancora un gesto pieno di meraviglia. Niente a che vedere con i check-in online, la classe turistica, o la pesata delle valigie all’aeroporto. Gli idrovolanti sono tutto un altro modo di volare. Sono rudimentali, e tutto attorno scricchiola, e fanno semplicemente il loro sporco lavoro di librarsi nell’aria.

Non c’è una meta, una destinazione, un posto dove andare. C’è solo il volo. Si parte dal lago e si torna nel lago, in quello strano modo di decollare e atterrare. Scivolando sopra uno specchio d’acqua. Lo si fa per stare a qualche metro dai tetti rossi della propria città, e guardarsi un po’ attorno, per poi tornare a terra, forse con un’altra prospettiva delle cose. Trovo che l’arte di Marco Brenna abbia molto in comune con questo modo di intendere il volo. Un esplorare che non ha una meta, ma che si gusta tutto il viaggio, in una costante determinazione a sperimentare cose nuove. Così ho visto questo artista disegnare volti, poi edifici e monumenti, e adesso idrovolanti; l’ho visto passare dall’uso esclusivo del bianco e nero, a timidi, e poi via via più decisi utilizzi del colore. Un passo dopo l’altro, come se fosse il filo di un unico ragionamento, di un’unica ricerca. Sempre con la stessa voglia di esplorare e vedere le cose da un nuovo punto di vista. Ma senza fretta, prendendosi tutto il tempo necessario per sperimentare le cose nuove. E questo modo di fare arte è un po’ come volare, sentendo tutta l’ebbrezza del vuoto sotto i piedi.

Sembravano passare di lì per caso, un autunno, in un angolo di cielo bianco e grigio, carica d’assenza. Appena accennati. Ma erano lì per un motivo. Tra vasi e arredi da giardino. Il germoglio di qualcosa che doveva ancora fiorire.

Mirko Floria